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Il Peveragnese tra occitano e piemontese

a cura di Elena Giordanengo

A partire dagli anni Settanta, il comune di Peveragno è stato inserito dal MAO (Movimento Autonomista Occitano) nel territorio di cultura occitana sulla base di rilievi condotti da François Fontan.

Fontan utilizzò un questionario minimo, costituito da 30-40 domande ed elaborato in collaborazione con il Prof. Antonio Bodrero di Frassino, che permetteva di stabilire se la località poteva essere o no inserita nell’area occitana. François Fontan, al di là delle sue empiriche ricerche, fornì interessanti notizie al Prof. Corrado Grassi, all’epoca titolare della cattedra di Dialettologia Italiana presso l’ateneo torinese, il quale promosse alcune ricerche e tesi di laurea sull’area tra la bassa Val Vermenagna e l’alta valle del Tanaro che permisero di delineare con sufficiente chiarezza la situazione linguistica di questo settore alpino.

In particolare il comune di Peveragno, con alcuni paesi limitrofi, è stato investigato da Bianca Maria Gulì nella sua tesi di laurea presentata per l’anno accademico 1971-1972 presso l’Università di Torino dal titolo: Resti della parlata provenzaleggiante alpina nella fascia pedemontana tra la Stura e l’Ellero. Sicuramente la parlata di Peveragno, con quelle dei vicini comuni di Boves e di Chiusa Pesio, è da considerarsi a base occitana, come sostenuto anche dal compianto Stefano Bottasso, sebbene abbia subito una forte piemontesizzazione.

A Peveragno le caratteristiche fonetiche della parlata occitana sono decisamente marcate: per esempio, l’infinito dei verbi della prima coniugazione è –â < -are (parlare > parlâ; plorare > piœrâ) a differenza del piemontese che presenta l’esito –é (< –are).

Il peveragnese non conosce la dittongazione della vocale tonica ē (< ē, ĭ latine) in ey, tipicamente piemontese: tela > pev. tela, piem. teyla; bevi! > pev. beou!, piem. beyv!; pipere > pœoure, piem. peyver, patella > pev. pela, piem. peyla; sapere > pev. savée, piem. savey;e conserva quindi una caratteristica fonetica dell’occitano.

Un’altra caratteristica decisamente alpina è legata all’ esito del suffisso latino  -atore > -adou(r),generalmente ridotto in alpino a -àour > -oour > -our, ecc.

Nel peveragnese l’esito è -òoupourtòou 'che porta' (è il tralcio fruttifero della vite e delle piante da frutto in genere), trouplòou 'segone a due manici', nazòou 'stagno per la macerazione della canapa',lavòou 'lavatoio', ëmboutòou 'imbuto', soutròou 'becchino', rablòou 'strascino'.

L’esito –adou(r) è presente in pochissimi casi, come nelle voci casadoù(r) 'cacciatore' e muradoù(r)'muratore'. Nell’area piemontese vi è stata, per influenza dall’area padana, una restaurazione della desinenza -adour, tant’è che in certe valli alcuni termini sono presenti esclusivamente in forma restaurata (muradour, pëscadour, casadour) penetrata da est grazie alla cosiddetta corrente lombarda: infatti un tempo l’area prospiciente le valli conosceva forme lenite (pescàou/pescòou/pescour, casàou, casòou) ancora presenti qua e là nella pianura pinerolese-cuneese.

Il peveragnese, come il gallo-romanzo, riduce inoltre i nessi latino qu+a > ca e qu+e/i > qui, a differenza del piemontese che mantiene la labiale: quando > pev. cant, piem. quand; quasi > pev. ësquèzi, piem. quaysi; quattro > pev. cat, piem. quat; quaranta > pev. caranta, piem. quaranta; coagulare > pev. caiâ, piem. quayà; coagulo, caglio > pev. cai, piem. quay.


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