La Badia di Carnevale
Sul principio del 1655 la vita operosa e spirituale del monastero certosino fu messa in subbuglio dalle bravate di una squadraccia di goliardi, autori di quelle gesta che sono passate alla storia come "la badia di carnevale".
Il giovedì grasso di quell’anno la masnada salì alla Certosa e fece irruzione nella prima cerchia delle mura del convento, urlando insolenze e minacce e spiegando dettagliatamente quale uso pensava di fare delle salvaguardie regie.
Non un locale scampò al loro saccheggio, specialmente quello del pecoraio ben rifornito di formaggio, perché intanto la camminata aveva messo appetito ai robusti giovanotti.
Alla sera una copiosa nevicata impedì loro di ripartire, cosicché dopo una “lauta crapula” si sistemarono nelle stalle dove fecero sbalzar in aria un povero capraio con il sistema della coperta, ingiuria ritenuta tra le più offensive dell'epoca.
Il venerdì l'armata Brancaleone prese finalmente la via di casa non prima di aver requisito ogni ben di Dio.
Alcuni irriducibili si lasciarono andare ad ulteriori atti di scherno: un tale "fece scena delle sue vergogne con urinare o mostrar di farlo nel cappello del messo del luogo, anzi slegatesi le calze e riverciata su la schena la camisia, voltò il nudo culo verso questo sacro luogo; questa insolentissima et infame attione che manifestò presso al Molino, la reiterò poscia altra volta vicino alla porta del ponte".
Ma l'attività della brigata non era ancora esaurita.
Alcuni giorni più tardi, mentre salivano al monastero facendosi strada nella neve, il priore ed il procuratore di Tetti Pesio furono affrontati e insultati dai più facinorosi.
Un mese dopo, il procuratore che scendeva dalla Certosa in compagnia di un massaro e di un mulattiere fu bloccato alle porte della Chiusa: il massaro "che mostrò lo zuffo risoluto" fu lasciato in pace, il mulattiere invece fu trascinato nel fango dove ricevette "molte bollate delli archibuggi nei fianchi".
In agosto arrivò finalmente il delegato regio il quale appioppò ai giovani una salatissima multa.
Dal canto suo il feudatario minacciò di "abbrugiar vivo nella propria casa" il capo della banda se avesse osato recar ulteriori molestie ai certosini.