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La rana Jana

Ma l’avvenimento forse più suggestivo capitato alla Boves medioevale è la venuta di una regina in carne ed ossa nella nostra terra: la regina Giovanna d’Angiò (1348 o 1349).

Si sa che il castello di Renostia (da Rejna-ostia = porta della regina) sorgeva nei pressi del Bec d’Arnostia e a quei tempi era possedimento angioino.

Nelle sue vicinanze esiste ancora un avvallamento con spelonca che la tradizione popolare chiama “u garb’d la Rana Giana”, il buco della regina Giovanna.

In questa spelonca pare che la regina si fosse ritirata per fare penitenza, come ordinatole dall’abate di Pedona.

Le nomenclatura toponomastica di strade e luoghi sopra Cerati e sopra S. Antonio conservano ancora oggi il termine “Raina” inteso come “regina”.

Il passaggio di Giovanna, regina di Francia e di Napoli, sulle terre di Boves fu certamente un evento eccezionale che non mancò di suscitare negli abitanti stimoli fantasiosi; da questi nacquero ben presto leggende, aneddoti, racconti strani.

A differenza dei racconti sentiti in altre zone che vissero lo stesso avvenimento, i nostri presentano un solo aspetto della personalità della regina, quello di una creatura diabolica che agisce in modo insensato e crudele.

“La regina Giovanna si era da qualche tempo stabilita in un suo castello prossimo al “Bec d’Arnostia” quando in tutta Boves si manifestò una strana epidemia.

Morivano gli uomini, morivano le bestie di un morbo assolutamente nuovo, indefinibile e contro il quale nessuna cura era efficace.

Quei disgraziati che pur essendone immuni temevano di esserne colpiti da un momento all’altro, capirono poco bene che quella epidemia era portata dalla “Reina Giana”.

E poiché era ancora nota a tutti la sua bontà, le autorità del luogo andarono a  trovarla nel suo castello, le esposero con i dovuti riguardi la ragione della loro visita e la pregarono di gran cuore che volesse allontanarsi, portando via la triste influenza che allora diffondeva attorno a sé.

La regina sorrise e rispose di essere pronta a soddisfare la loro richiesta a patto che le procurassero un paio di scarpe adatte ai suoi piedi.

I piedi però non si vedevano perché il suo manto li copriva interamente e nessuno osò chiedere che li mostrasse.

Anche se non possedevano le misure, se ne andarono, fiduciosi di riuscire nell’intento. Tutti i calzolai di Boves si misero a fabbricare scarpe per la regina.

E quando ne furono pronte una buona quantità, i capi del paese tornarono da lei e gliele presentarono perché li misurasse.

La regina fece le prove senza che essi vi potessero assistere.

Ma presto i suoi servi riportarono tutte quelle scarpe dichiarando che nessun paio era adatto ai suoi piedi.

E i calzolai di Boves  ne inventarono delle nuove, di tutte le forme e proporzioni.

Ma i loro capi tornarono al castello per ridiscendere al paese sempre più delusi: nessuna scarpa calzava a quei piedi che erano veramente un gran mistero.

E intanto l’epidemia faceva vittime senza posa.

Alla fine la disperazione indusse i bovesani a ricorrere all’astuzia. Essi corruppero una cameriera della sovrana, la cameriera le sparse un po’ di farina accanto al letto in modo che, senza accorgersene, ella vi lasciò impresse le orme dei suoi piedi.

Si trattava di piedi veramente strani, nessuno avrebbe potuto immaginarlo: erano zampe di gallina.

Allora finalmente i cittadini di Boves poterono portare le scarpe richieste, e quando la regina se le vide presentare disse subito molto sorpresa e addolorata: “Qui mi hanno tradita!”.

Ma fedele alla promessa, lasciò il suo castello e partì piangendo a dirotto.

Riprese così la sua vita randagia andando per il mondo, ora imperiosa e temuta, ora reietta e fuggiasca, ora invocata e benedetta, ora oggetto di maledizione.

La ricchezza e il fasto dei vestiti e dei gioielli, così lontani dagli usi e costumi della povera gente, fanno pensare spesso a tesori nascosti.

Anche la “Rana Giana” naturalmente ha il suo tesoro.

La credenza popolare vuole che la regina sia stata sepolta in una ricca tomba presso il castello della Renostia.

Nella tomba sono stati deposti, con vestiti e le collane d’oro, anche la rocca e il fuso, tutti d’oro, che la regina adoperava quando filava con le ancelle al sole del Bec d’Arnostia.

Per nascondere il luogo della sepoltura furono piantati tanti alberi e, proprio sulla tomba, un ciliegio che crebbe più di tutti…

ed era sempre fiorito, estate e inverno.

Tutto finì quando alcuni bovesani, per cercare la rocca e il fuso, si misero a scavare.

Una notte si scatenò un furioso temporale con lampi e tuoni, tutto il “garb’ d la Rana Giana” prese fuoco e avvampò… e da allora nessuno ha più trovato niente”.


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