I vestiti, la lana e la canapa
Gli abiti giunti sino a noi sono eleganti gonne nere di lanetta o cotone, lunghe fino alla caviglia e preziosi indumenti di seta confezionati in occasione di matrimoni o appartenenti alle famiglie più abbienti. Questo abbigliamento, per lo più femminile, fotografa una piccola parte della realtà entracquese, mentre tutto l’abbigliamento di uso quotidiano, più semplice, confezionato in casa, a mano con materiali naturali è conservato dalla memoria degli anziani. Gonne, calzoni e mantelli erano cuciti in modo tale da agevolare il lavoro nei campi e nei boschi ma soprattutto dovevano riparare gli entracquesi dal freddo invernale. Per questo il tessuto preferito per confezionare gli indumenti da lavoro era il “drap”: molto robusto e molto caldo, era prodotto in Entracque unendo lana e canapa. Gli indumenti di uso quotidiano, spesso maltrattati, venivano rattoppati e rammendati finché era possibile, poi, dai vestiti malandati si cercava di recuperare la stoffa per farne tende e coperte. Dovendo contenere il più possibile le spese, il colore più usato era il nero, soprattutto per quanto riguarda il vestiario femminile. Neri erano infatti anche gli abiti da sposa e le vesti eleganti realizzate con la seta ed impreziositi con accessori in pizzo e merletti lavorati a mano al tombolo o al filet durante le veglie invernali. Un’attenzione particolare va rivolta all’abbigliamento dei bambini, che vestivano abitini in tessuto di diverso colore e spessore, senza distinzione tra maschietti e femminucce. Avvolti solo in salde fasce, anche i neonati potevano sfoggiare cappellini con merletti o nastri colorati che davano un tocco di civetteria. L’abbandono delle vesti infantili ed il passaggio ad abiti simili a quelli degli adulti, ridotti di taglia, avviene verso i sette – otto anni di età, quando i bambini vestono anche i primi abiti più “eleganti” in occasione della prima comunione e delle cerimonie religiose più importanti.
La lana
La lavorazione della lana prodotta dalle pecore allevate in famiglia seguiva un processo rustico, ma efficace. La lana, ricavata dalla tosatura del tardo autunno, veniva lavata in acqua tiepida e, una volta asciugata, veniva cardata a mano, filata con l’arcolaio (al ruet) e con la conocchia (la rucca) e il fuso (al fus). Dopo questo processo la lana era pronta per essere tessuta in un drap da una donna esperta oppure, dopo essere stata filata e ritorta, per essere lavorata nelle lunghe veglie invernali con i ferri (as uglie).
La canapa
Con la tela di canapa, la “rista”, si facevano invece le camicie a maniche lunghe che venivano indossate sulla pelle, così ruvide da escoriare le pelli più sensibili. Anche le lenzuola erano di canapa, come pure molti grembiuli ed indumenti intimi femminili, cuciti in modo da essere pratici per non procurare perdite di tempo sul lavoro. Ampie tasche di tela permettevano ai lavoratori dei campi di riporre ciò che sarebbe potuto servire in campagna, dalla fetta di polenta per la colazione, al sale per le mucche, al coltello a serramanico; la stessa funzione avevano i grembiuli che proteggevano le gonne, spesso rimboccati e trasformati in una grande e capiente tasca.